Per chi segue le vicende interne statunitensi è palese come negli ultimi decenni sia stato eroso sistematicamente l’ordinamento liberale e siano stati instaurati meccanismi sempre piu’ restrittivi delle libertà’ degli individui. È un processo che è iniziato per lo meno dalla seconda meta’ degli anni settanta, con il riflusso dei movimenti, e la nascita dei paradigmi della war on drugs che immediatamente diventa, o meglio: nasce come, war on poors, paradigma che altro non fa che spostare su criteri maggiormente accettabili la costante del razzismo strutturale: se all’epoca delle Jim Crow Laws si era ufficialmente discriminati in quanto neri, o con strumenti differenti in quanto latini o nativi, ora si è ufficialmente discriminati in quanto poveri e potenzialmente pericolosi. A partire dallo stesso periodo si è potuto assistere ad una costante militarizzazione delle forze di polizia e alla crescita smisurata dell’apparato burocratico e giudiziario a livello federale. In questo si sono inseriti business da miliardi di dollari annui come quello della gestione privata dei centri di detenzione di stato e di contea, le agenzie di sicurezza privata e, nell’ultimo decennio, la neoburocrazia semiprivata della sorveglianza telematica.
Dopo l’11 settembre 2001 vi è stato un ulteriore salto di qualita’ grazie al corpus di leggi che va sotto il nome di Patriot Act: capillarizzazione ulteriore della sorveglianza, detenzione amministrativa senza limite di tempo, creazione di liste di persone che vengono interdette nella loro libertà’ di spostamento in base a procedure amministrative su criteri secretati. Questo ultimo meccanismo va a vietare a persone “sospette” di utilizzare mezzi aerei per spostamenti in quanto “potenzialmente” pericolose: i criteri in base a quali si venga iscritti in questa no fly list sono oscuri e non sono mai stati rivelati e sono già’ molti i casi in cui si sono verificati abusi e persone completamente estranee a vicende di criminalità o di terrorismo internazionale o domestico si siano trovate impossibilitate nello spostarsi, ledendo quello che da un punto di vista liberale è riconosciuto come diritto naturale.
Dopo la strage di Orlando in Florida abbiamo potuto assistere ad uno squallido teatrino: parte della componente democratica eletta al senato si è messa in mostra con un bel sit-in di diversi giorni dentro l’edificio del potere legislativo federale per chiedere che venisse calendarizzata la discussione parlamentare su una proposta di legge del Democratic Party che, se approvata, andrebbe a vietare a certe persone l’acquisto e la detenzione di armi, diritto riconosciuto come inviolabile dal secondo emendamento. Queste liste, secondo la proposta dei democratici dovrebbero riprendere i criteri delle no fly list. Insomma: in base a liste fatte con criteri segreti e da funzionari amminstrativi federali, su non si sa quali segnalazioni, si andrebbe a restringere l’applicazione di un’altra libertà, nonché nel caso statunitense di un diritto costituzionale. Questa pericolosa proposta di legge ha ottenuto anche l’appoggio di certi settori del Republican Party e si vocifera di un possibile endorsment da parte non solo di Trump, candidato ufficiale del GOP per le presidenziali di novembre, ma addirittura della NRA, la National Rifle Association, l’associazione dei possessori di armi, per lo piu’ della middle e upper class consevatrice bianca. D’altra parte, checchè non ne sappiano nulla o se ne scordino i liberals nostrani, già dagli anni sessanta la NRA si era distinta per l’appoggio a proposte restrittive del secondo emendamento purché queste colpissero settorialmente il movimento di emancipazione dei neri, dei latini e dei nativi americani. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che all’epoca la stragrande maggioranza dei movimenti per l’emancipazione dalla discriminazione razziale, da quelli più radicali come le Black Panther o le organizzazione armate dei nativi a quelli più pacifici come il movimento del reverendo King, ponevano, pur con diverse sfumature, la questione dell’autodifesa dagli attacchi criminali dei vari gruppi reazionari razzisti, spesso appoggiati dalle strutture locali, e non solo, dell’organizzazione statale.
Di acqua sotto i ponti ne è passata: per quanto non vi siano più quei grandi movimenti di massa e le azioni contro il razzismo strutturale siano divenute meno incisive e più sporadiche, anche se il movimento Black Lives Matters sta innescando una nuova fase di lotte, il conflitto sociale fa sempre paura. Anzi: in una fase di imponente restrutturazione economica fa ancora più paura. E allora ecco scendere in campo i peggiori attrezzi della repressione: sospensione in base a criteri amministrativi di diritti costituzionali, sorveglianza sempre maggiore nei confronti degli attivisti, repressione preventiva. Il tutto sotto l’egida della war on terror e la spinta emotiva data da episodi di mass shooting, per quando questi, a vedere i dati, siano in calo.
Ovviamente queste proposte vengono presentate come leggi atte a tutelare tutti. Ma ben sappiamo che andranno a colpire in maniera molto selettiva coloro che agiscono per un cambiamento radicale della società e coloro che sono strutturalmente oppressi. Sopratutto se andiamo a sommare queste proposte di leggi con la pratica del racial profiling che è attuato con sempre maggiore intensità dalle forze dell’ordine e con le proposte di estendere il sistema di background checks.
Insomma: ancora una volta si può osservare come la propaganda politica utilizzi il dato dell’emotività e di un certo perverso senso comune per imporre un’agenda politica autoritaria che altro non farà che riprodurre e peggiorare l’attuale sistema di dominio.
lorcon